Nell’eterogeneo ambiente della cultura, con i suoi stravaganti tic e le sue ben radicate consuetudini, chiamare una persona con il suo cognome, ignorandone sempre (o quasi) il nome, equivale all’assunzione sugli altari della gloria, al riconoscimento che egli vale. Bene, nel giro torinese dei laici, della cultura ipercritica ma non estremista, il Quaglieni è uno che conta. Pier Franco è per gli amici di bevuta “il Quaglieni” e lo è anche per i colleghi di “ideologia”. E lui, da tanti anni alla guida del Centro che porta il nome di un sottile e raffinato intellettuale, è davvero qualcuno nell’intelleghentsia subalpina, capace di avanguardie estreme e di saggezza dalla età culturale indefinita. Pensate, amici, all’importanza del Centro “Pannunzio” che nel corso dei lustri è stato capace di mettersi in sintonia con i tempi cangianti, prendendo al volo la battaglia del divorzio, la capacità della tolleranza, la saggezza del dialogo. Che ne pensa Quaglieni? Ho sentito domandare più volte. E alla risposta c’era l’assenso dei seguaci, e la stima degli avversari. Come ai nostri giorni, ancora.