Pannunzio ha avuto molti amici, allievi ed eredi.
Ma, com’è inevitabile, sono più lontani da lui; lo sono per età, e anche per il peccato originale più grave verso Pannunzio: l’indifferenza.
Che si traduce in inerzia.
Così, nonostante la loro contiguità (i più vicini, al tempo giovani, hanno 80 anni), io non avrei mai sentito parlare di lui se non fosse stato per Quaglieni.
Di Pannunzio avrebbero potuto parlarci, invece di perdere tempo in demonizzazioni di Andreotti o Berlusconi, Eugenio Scalfari, Marco Pannella, Nello Ajello; ma erano troppo concentrati a costruire il loro fragile monumento dimenticando le fondamenta su cui avrebbero dovuto poggiare.
Quaglieni, invece, per cultura e per riconoscenza, ha trascorso tutta la vita ad erigere il monumento a Pannunzio.
E a noi più giovani, che non lo avevamo conosciuto e l’avevamo incrociato soltanto per sospetto o per curiosità, ha rammentato – in Piemonte quotidianamente e in Italia con iniziative a ritmo continuo – il nome e il magistero di Pannunzio; la sua religione della libertà.
E perché Pannunzio fosse al centro della nostra attenzione, ha inventato il Centro “Pannunzio”, che ogni anno promuove a Torino commemorazioni e discussioni intorno a testi pannunziani al Salone del Libro.
La prospettiva di Quaglieni è chiara perché viene dal mare: da Bordighera o da una ventosa torre di Albenga.
Di quelle che, anche con me, ha contribuito a salvare dalla scelleratezza degli ignoranti, che avrebbero contaminato quella bella città, come contaminano il luminoso pensiero di Pannunzio.