Di Pier Franco Quaglieni, illustre torinese e rivierasco d’adozione, molto si è detto e scritto e, ne possiamo stare certi, ancora se ne avrà modo di farlo. La sua biografia è una sorta di specchio del liberalismo italiano, di cui ne accompagna significativi aspetti. Proveniente da una famiglia di radicate tradizioni militari e diplomatiche, si è dedicato a lungo agli studi dai quali, si può dire, non si è mai più separato. Già da giovanissimo, nel 1968, anno peraltro denso di eventi e di inquietudini, insieme a Mario Soldati e Arrigo Olivetti, fu tra i fondatori e poi direttore del Centro “Pannunzio”, «Associazione di libero pensiero», che recita nel suo laico blasone il motto «la libertà come regola». Tale stile, introiettato nella vita quotidiana, lo ha ispirato nel suo magistero culturale. Proprio in quegli anni, infatti, tra le turbolenze della contestazione studentesca, Quaglieni aveva dato vita al gruppo Riforma democratica universitaria, che si opponeva agli eccessi e agli ideologismi allora imperanti, così come alle enfasi retoriche dei rivoluzionari “duri e puri”, nel nome, invece, di una trasformazione istituzionale fondata sui principi del dialogo, del rispetto e della reciprocità. Il pluralismo delle idee, infatti, si incontra da sempre con la pluralità delle attività che egli ama svolgere: giornalista, docente e saggista ha dato alle stampe molti testi, incentrati prevalentemente su significativi aspetti della storia contemporanea. Su Mario Pannunzio, di cui è senz’altro il maggiore studioso, ha scritto decine di saggi in un quarantennio di acribiose ricerche. Le sue ultime pubblicazioni sono Liberali puri e duri. L’eredità di Pannunzio, e Mario Pannunzio. Da Longanesi al “Mondo”.
Ha insegnato, conoscendo bene quindi il mondo della scuola e anche dell’università. Anche in tali vesti, e soprattutto come organizzatore di cultura, ha assunto più incarichi, tra i quali la vicepresidenza della International Federation of Free Culture di Londra così come la presidenza nazionale della Federazione italiana docenti. Per i suoi meriti è stato quindi insignito dalla Presidenza della Repubblica del Cavalierato di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica. Non di meno può vantare la medaglia d’oro di prima classe di benemerito della scuola, della cultura e dell’arte. A questi riconoscimenti istituzionali si sono corredati i molti premi attribuitigli, tra i quali il «Voltaire», il «Tocqueville», il «Leon d’oro», il «Cavour Italia», il «Prezzolini», il «Malraux». Significativa, a tale riguardo, la motivazione del Premio internazionale «Karl Popper» (nell’edizione del 1999) quando fu definito «un grande manager di cultura di respiro europeo ed internazionale». L’impegno professionale e culturale si è in lui sempre incontrato con la prospettiva politica, da convinto europeista.
Anche in tale veste ha quindi ricoperto per lungo tempo l’incarico di Vice presidente del Consiglio italiano del Movimento Europeo. L’attenzione per l’Europa, a tutt’oggi orizzonte imprescindibile per il nostro Paese, malgrado le tante difficoltà attraversate nel processo di unificazione, si è sempre felicemente ibridata con la cura per la storia patria, a partire dal Risorgimento, di cui Quaglieni è un riconosciuto studioso. In buona sostanza in lui si riflettono molti dei caratteri della torinesità, di oggi come del passato ed una franchezza d'opinioni, che talora gli ha creato imbarazzi e critiche. Mi piace ricordare quando la città, in un tempo ben precedente all’unificazione del 1861, fosse rifugio per un grande numero di patrioti, che ambivano alla trasformazione della penisola nel nome di idealità concrete e non di fittizi velleitarismi. I caffè torinesi e piemontesi raccoglievano allora le dense discussioni, i serrati confronti tra idee, le vivaci speranze di un mutamento che di lì a non molto sarebbe arrivato, gratificando certuni e defraudando altri.
Rimane il segno di quell’epoca di cui Quaglieni, non importa con quale consapevolezza, è a modo suo testimone a distanza e quasi involontario protagonista, ancorché proiettato, come tutti noi, nel secolo successivo. Lo fa nel nome dei principi liberali nei quali ha sempre creduto, che ha professato e praticato nel corso della sua esistenza. Di tali cittadini si onora la nostra Regione e anche per questo motivo il rendergli omaggio non è atto di mera circostanza, in qualche modo esercizio rituale, ma piacere condiviso, che va al di là della pur doverosa attenzione che ogni Istituzione deve nei confronti di coloro che portano lustro alla collettività. Desidero sottolinearlo come Vice Presidente del Consiglio regionale del Piemonte.