“Questo libro intende contribuire a far conoscere alcuni aspetti della figura di Mario Pannunzio finora abbastanza trascurati”, scriveva Pier Franco Quaglieni introducendo una raccolta di saggi dedicati a Mario Pannunzio. Da Longanesi al ‘Mondo’ (Rubbettino editore). Rilevava come Pannunzio fosse stato considerato in vita come una figura minoritaria se non di scarso rilievo. Ma che invece dopo la morte – aveva osservato Marco Pannella – era stato esaltato “persino da coloro che si erano preoccupati di non far conoscere al Paese la sua grandezza”. Grazie a Pier Franco Quaglieni, docente e saggista di storia contemporanea che, nel 1968, giovanissimo, è stato, con Arrigo Olivetti e Mario Soldati, tra i fondatori del Centro “Pannunzio”, la memoria del giornalista e scrittore oggi è sempre con noi.
Quaglieni l’ha tenuta in vita con i suoi scritti, con i suoi studi, con le sue ricerche e con la direzione del Centro che “è qualcosa di più di un grande centro italiano di cultura, è il simbolo stesso della civiltà laica, liberale e democratica del nostro Paese fondata sulla ragione e sulla tolleranza”, come ha scritto Giovanni Spadolini.
Pannunzio era il giornalista che secondo Giovanni Ferrara, era “amante delle piccole comodità di ogni giorno ma che della scomoda attività della dissidenza aveva fatto la vocazione della vita”. Aveva fondato e diretto oltre al “Mondo” anche il bellissimo quotidiano “Risorgimento liberale” e aveva come numi tutelari Benedetto Croce e Luigi Einaudi. Sono gli stessi numi di Quaglieni che, come Pannunzio, ha fatto della dissidenza la vocazione della sua vita. Senza Quaglieni l’“Italia dei galantuomini”, così Eugenio Scalfari ha chiamato l’intellighentia che si era ritrovata sulle colonne di “Risorgimento Liberale” e del “Mondo”, non sarebbe stata conosciuta e apprezzata.
E senza l’opera di Quaglieni assai poco oggi si saprebbe del gruppo che, riunito intorno a Pannunzio e ai suoi giornali, aveva posto le fondamenta di una mentalità molto originale e peculiare, destinata anche a durare fino ai nostri giorni, fatta di “idee tenaci a morire”. Una mentalità fondata non sulla sicurezza di possedere la “verità assoluta” e nemmeno sulla convinzione di essere sempre dalla parte del vero e del giusto. Quaglieni, che proviene da una famiglia di tradizioni risorgimentali e patriottiche, è sempre stato come Pannunzio un vero intellettuale disorganico. Un intellettuale non organico a un partito o a un potere costituito ma, come ha sostenuto Norberto Bobbio, capace di “difendere la libertà individuale contro i regimi assolutistici, di conservare i frutti più sani della tradizione europea, l’inquietudine della ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, lo scrupolo filosofico e il senso della complessità delle cose”.