Salvatore Vullo
Quaglieni  - l’eretico, combattivo e mite

“Il conformismo è la filossera della società”. Così diceva Leonardo Sciascia, in una intervista di trent’anni fa, per stigmatizzare questo male perenne della nostra società, uno dei peggiori, così come lo era stato la filossera: malattia che verso la fine del 1800 aveva distrutto i vigneti europei.

E in trent’anni non è che le cose siano molto cambiate; forse in peggio e specialmente negli ultimi 20, negli anni della cosiddetta II Repubblica, con la scomparsa dei partiti di area liberale laica e socialista, e quindi con meno pluralismo politico culturale, l’accentuarsi della egemonia di sinistra nel pensiero e opere e una deriva verso un sistema dominato dal “politicamente corretto”, sostenuto anche, pericolosamente, da forme di giuridicità, che tendono a sanzionare anche penalmente, comunque ad inquisire, le idee e le critiche; ovvero si maschera di giuridicità l’odio ideologico, l’invidia, il rancore sociale, i pruriti moralistici.

Insomma, navighiamo, anzi siamo immersi in una palude di conformismo.

A tal proposito risulta emblematica la situazione di Torino; una città che ha avuto ed ha tanti meriti e tanti pregi, ma che primeggia in Italia per i livelli di conformismo politico e culturale.

A Torino, i soggetti e gli istituti culturali e quelli che promuovono grandi e piccoli eventi (vedi Salone del libro, Biennale democrazia, Torino spiritualità, Circolo dei lettori, ecc.) sembrano celebrare il pensiero unico, se la cantano e se la suonano sempre da soli, i nomi che girano sono sempre gli stessi: scrittori, cantanti, giornalisti, magistrati, registi o altro e comunque quasi tutti espressione di precisi schieramenti; le stesse logiche sembrano seguire anche i criteri di finanziamento dei soggetti culturali e delle manifestazioni. E, per dirla con Vittorini, “Tutti a suonare il piffero della rivoluzione”.

Un soggetto culturale controcorrente, veramente libero e liberale, soggetto persino anomalo nel panorama torinese, è sempre stato il Centro “Pannunzio”; un istituto che fa onore al nome che porta: quel Mario Pannunzio, grande giornalista e intellettuale di quella schiera che comprende grandi personaggi come Leo Longanesi, Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Sandro De Feo, Ercole Patti, Vincenzo Cardarelli, ecc.

Il “Pannunzio”, dunque, da sempre a Torino un avamposto di libertà e di anticonformismo; protagonista di tante battaglie a sostegno di valori fondamentali della nostra Italia e della nostra civiltà, spesso bistrattati e vilipesi; promotore di iniziative per valorizzare uomini e opere di grande valore, ma caduti nel dimenticatoio o che hanno subito avversione e ostracismo.

Tante le battaglie e le iniziative del “Pannunzio”, spesso come voce declamante nel deserto, ma che, anche nel modesto risalto mediatico, sono state comunque una testimonianza della voce della “ragione” e degli uomini ragionevoli dei quali, pur nella loro prevedibile sconfitta, resta sempre la scintilla che prima o poi innesca il fuoco della verità e del riscatto.

Aggiungiamo che non sarebbe stato possibile effettuare queste battaglie se alla guida del “Pannunzio” non ci fosse stato il professor Pier Franco Quaglieni, storico direttore del Centro, degno discepolo di Mario Pannunzio, fervida intelligenza che incarna anche nell’aspetto fisico, nel portamento, quegli uomini di lettere, nobili eroici personaggi del Risorgimento, che diedero anche la vita, combattendo per la Repubblica Romana o per l’impresa garibaldina.

Del resto, il professor Quaglieni, nei suoi 45 anni di direzione del “Pannunzio”, ne ha viste tante; e ci voleva anche tenacia, caparbietà, coraggio fisico per affrontare e sfidare il furore ideologico, la violenza verbale e fisica dei lunghi anni di piombo, e la diffusa intolleranza che sempre c’è contro chi è fuori dal coro.

Del professor Quaglieni voglio ricordare un episodio emblematico di quella storia, che in parte ho vissuto anch’io. Era il 1996, in quell’anno l’Italia festeggiava i 90 anni del grande Mario Soldati, che era anche presidente onorario del “Pannunzio”; come gruppo di socialisti torinesi lamentavamo pubblicamente che mentre in altre parti d’Italia lo festeggiavano, come il comune di Lerici con una solenne cerimonia o la Regione Liguria che lo proponeva ufficialmente per la nomina a senatore a vita, risaltava la latitanza delle istituzioni di Torino e del Piemonte, che per questo loro nobile figlio, grandioso scrittore, regista, maestro di cinema e televisione, non avevano fatto quasi nulla, anzi avevano snobbato l’unica importante iniziativa: un grande convegno dedicato a Soldati al Salone del Libro di quell’anno, promosso e organizzato dal professor Quaglieni per il Centro “Pannunzio”. E anche in quella occasione si era levata la voce di protesta del professor Quaglieni per la scarsa attenzione riservata a tale convegno e a Mario Soldati da parte degli organizzatori del Salone del Libro e dai salotti politicoculturali torinesi.

Al professor Quaglieni tutti dobbiamo molto.

Egli è un “maestro”, anzi un “buon maestro”, a differenza del proliferare dei “cattivi maestri”: quelli permanentemente indignati, giacobini che non lasciano nessuno spazio alla speranza.

È un uomo e intellettuale coerente e coraggioso, a differenza di quella folta schiera di intellettuali pavidi e opportunisti; oppositore di quella società conformista dove le opinioni sembrano preesistere ai fatti, dove le ideologie e le confessioni prevalgono sulle idee e sulla ragione, dove gli intellettuali mistificano la storia e dove l’inquisizione demolisce anche la memoria.

Battaglie solitarie, controcorrente per le quali il Professore ha ricevuto anche molti strali e invettive; ma a tal proposito, credo che Quaglieni risponderebbe al modo in cui Sciascia rispose ai suoi detrattori: “Questa è la mia eresia: gli inquisitori mi diano la condanna che vogliono. Ma ci sono tanti eretici per fortuna, in questo nostro Paese, benché non sembri”.

Grazie, professor Quaglieni. Ad Majora!


Testimonianze su Pier Franco Quaglieni
per i suoi quarantacinque anni di direzione del Centro “Pannunzio”