Girolamo Cotroneo
la sua fedeltà a Croce

Un “coerente” percorso intellettuale.

Nel 1982 è apparso in Italia un libro di Leszek Kolakowski dal titolo Elogio dell’incoerenza, nel quale il noto, e coraggioso, intellettuale polacco sosteneva il diritto di chi, di fronte al fallimento di una ideologia – in quel caso il marxismo – nella quale pure aveva fortemente creduto, aveva il diritto, se non il dovere, di ricredersi. La coerenza, infatti, assunta astrattamente come principio, rischia talora di trasformarsi in pura e semplice ottusità: per cui si potrebbe tranquillamente dire che essa non è – o non è sempre – una virtù.

Naturalmente il problema presenta molte sfumature, alcune delle quali decisive: ed è per questo che la coerenza che ha sempre caratterizzato l’impegno etico e politico – forse più etico che politico – di Pier Franco Quaglieni, di tutto potrebbe venire accusata, ma non certo di conformismo o di ottusità. Questo ritengo sia dovuto da una parte alla grande onestà intellettuale che lo ha accompagnato per tutta la vita e che ha caratterizzato tutte le sue scelte, tutte le sue azioni; dall’altra, all’incontro con una dottrina – il liberalismo – da lui assunta più che come prassi politica nel senso corrente del termine, nella dimensione e prospettiva assegnata ad esso da Benedetto Croce: il quale, come è noto, considerava la concezione liberale come “metapolitica”, in quanto, diceva, «supera la teoria formale della politica e […] anche quella formale dell’etica, e coincide con una concezione totale del mondo e della realtà».

Chi ha accolto questa visione del liberalismo ha potuto anche accettare, senza per questo rigettarlo, le sconfitte che ha subito nel corso della storia,come, ad esempio, il fallimento dello Stato liberale italiano negli anni Venti del Novecento. Ed è su questa base che il liberalismo ha accompagnato senza farli scadere nel dogmatismo, nella coerenza inopportuna e ottusa, il pensiero e l’azione, oltre che la produzione e il grande lavoro di organizzatore della cultura, di Pier Franco Quaglieni: il quale, con giusto orgoglio può vantarsi di essere stato «tra i pochi studiosi che hanno difeso le ragioni di un crocianesimo non di scuola negli anni in cui Croce era considerato un “cane morto” e dirsi crociani (pensiamo al ’68) condannava al disprezzo per non dire al sarcasmo».

Nonostante, come dicevo, il crocianesimo di Quaglieni avesse come punto di riferimento forte la visione “metapolitica” del liberalismo proposta dal filosofo napoletano, che gli consentiva, di fronte a una sconfitta o a un particolare fallimento, di non rigettare il nucleo, direi, teoretico della dottrina; nonostante questo, o, forse, proprio per questo, poteva sentirsi vicino a un liberalismo – mi si passi l’espressione – da combattimento. Un liberalismo che riteneva di avere trovato nel pensiero e nell’attività politicoculturale di Mario Pannunzio: un’attività che – come egli stesso ricorda – nella sua fase iniziale, al momento cioè della fondazione de “Il Mondo”, incontrò l’ostilità – destinata comunque presto a trasformarsi in collaborazione – di Benedetto Croce, il quale credeva di vedere nelle scelte del giornale e del suo fondatore un residuo ideologico del movimento “Giustizia e libertà” di Carlo Rosselli e del da lui “odiatissimo” Partito d’Azione.

“Il Mondo” è stato per Pier Franco Quaglieni un importante punto di riferimento ideale, che nella sua prospettiva politica e culturale ha visto qualcosa di più che non un settimanale di ispirazione e contenuti liberali. Pannunzio, infatti, ha osservato, «in quegli anni, inse

gnò a scrivere a tutti, indicando loro non soltanto “come” scrivere, ma anche, soprattutto, “cosa” scrivere». E questo in tempi decisamente avversi, dominati da due ideologie totalizzanti – quella cattolica e quella comunista – entrambe fieramente avverse al liberalismo: tempi in cui, da un’Italia “parolaia” e incolta, «la sobria eleganza de “Il Mondo” fu giudicata “sofisticata” e la sua concretezza fu presa per moralismo».

Ma Quaglieni, che a Pannunzio – quasi superfluo ricordarlo – ha dedicato un Centro di studi che perpetua e rinnova la tradizione liberale – dice qualcosa di più: dice che sarebbe «un errore irrigidire il liberalismo pannunziano entro schemi ideologici, perché come ogni vero liberale, Pannunzio seppe “contaminare” il suo pensiero, che non fu mai dottrinario, con altri filoni politici e culturali, dimostrando una curiosità intellettuale pari alla sua coerenza».

Queste parole dicono che il liberalismo di Pier Franco Quaglieni non è quel liberalismo “duro e puro” che rischia di diventare ottusa “coerenza”, ma uno strumento duttile, una dottrina che pur mantenendo come irrinunciabili alcuni principi forti, è pur sempre in grado – cosa che il suo rivale, il marxismo, non poteva fare; e questo ne provocò la dissoluzione – di guardare con interesse le nuove idee e i nuovi problemi che la storia di volta in volta propone.

Come chiunque conosce le sue idee sa molto bene, Pier Franco Quaglieni non si è proposto di aprire nuove strade al liberalismo, ma di ripercorrere con nuovo spirito strade in parte tracciate. Parlando ancora di Pannunzio, ci ha ricordato che «teneva dietro la scrivania di direttore de “Il Mondo” il ritratto di Camillo di Cavour e sul tavolo una fotografia di Benedetto Croce». Croce, Cavour, Pannunzio : sono stati questi i punti fermi che hanno guidato, o accompagnato, l’itinerario intellettuale di Pier Franco Quaglieni; un itinerario del quale questa breve nota dà ragione soltanto in piccola parte.


Testimonianze su Pier Franco Quaglieni
per i suoi quarantacinque anni di direzione del Centro “Pannunzio”